Ricordo perfettamente il pomeriggio in cui presi un foglio bianco e iniziai a scrivere qualcosa che non c’entrava nulla con i miei compiti di scuola elementare.

Era un foglio a quadretti staccato da un piccolo bloc-notes azzurro, che tenevo sulla scrivania in camera.

La penna grassoccia, a scatto, aveva 4 diversi colori e io li adoperavo per differenziare l’importanza delle parole nel testo.

Ero appoggiata con i gomiti alla soglia della finestra e osservavo da qualche minuto un enorme albero di castagno.

Aveva le foglie variopinte che si staccavano facilmente dai rami e cadevano a terra.

Una volta giù, creavano un tappeto folto e meraviglioso. Un po’ triste in realtà, ma davvero bello.

Il colore delle foglie quel pomeriggio era così diverso da quello che avevo visto poco più di un mese prima. Ora riuscivo a scorgere il giallo ma anche l’arancione e spesso delle venature di rosso. Erano forse magiche quelle foglie, pensai.

Avevano mutato il loro aspetto nel giro di pochi mesi e ora volavano via dall’albero per cadere a terra e finire chissà dove.

Fu in quel preciso istante che la mia mano iniziò a scrivere il titolo di quella poesia (non so se sia corretto definirla poesia, ma in quel momento io credevo fosse tale).

L’anno. Scrissi il titolo in rosso.

L’anno se ne va, l’anno ritornerà.

Questa prima frase era in blu.

Mi stavo approcciando inconsapevolmente a ciò che fino ad oggi accompagna ogni mio pensiero sul senso della vita: il tempo che passa, che porta via con sé un po’ della tua vita.

Come fermarlo? Come farlo tornare?

Verso la fine della poesia, in verde scrissi che l’anno è come una giostra che gira, gira, gira e non si ferma.

Mi accorgo mentre scrivo queste parole che anche i miei occhi da adulta osservano quella giostra con lo stesso stupore di allora e vedono le stagioni girare velocemente aggrappate alle catenelle rumorose in quel luna park.

E poi, quella musica di fondo, sempre la stessa: questo è il tempo delle castagne, la villanella la villanella…

Una filastrocca imparata a 5 anni e mai dimenticata.

È tornata prepotentemente a bussare alla porta del mio cuore tante volte, soprattutto durante la stesura del mio 3° romanzo Era il tempo delle castagne…

Quanto è importante l’infanzia e il ricordo di quegli anni per una persona adulta?  Quanto incidono sulle scelte, sull’impostazione della giornata, sulla forza di vivere e sul coraggio nell’affrontare le difficoltà?

Quei piccoli frammenti di vita fanno parte di un puzzle. Il mio puzzle.

Ogni poesia, ogni racconto, ogni fiaba e ogni romanzo che devo necessariamente scrivere, mi aiuta a mettere a posto un altro tassello e a guardare l’insieme della mia vita.

A dare un senso ad ogni giornata.

Ad osservare ogni giorno che passa, ogni stagione, ogni anno, ogni accadimento, ogni gioia, ogni dolore e ogni evento incomprensibile con curiosità e malinconia.

Per non smettere mai di sognare un mondo migliore…

 

 

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